SQUARE ONE: MICHAEL JACKSON SBARCA SU AMAZON PRIME

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Il popolare documentario si avvia alla grande distribuzione.

MICHAEL JACKSON: SQUARE ONE – Lo speciale disponibile su Amazon Prime UK e US.

Michael Jackson “Square ONE” è un documentario che avrebbe dovuto vedere la luce molto prima. Ci sono voluti dieci anni dalla scomparsa del re del pop perchè qualcuno riuscisse a mettere insieme informazioni, interviste e dichiarazioni che, fossero andate in onda a tempo debito, probabilmente oggi la storia personale di Michael Jackson sarebbe molto diversa da quella che conosciamo e che la gente comune gli attribuisce.

Innanzi tutto iniziamo col dire che questo documentario, diffuso gratuitamente a partire dallo scorso 5 ottobre su Youtube, rappresenta il primo vero approccio giornalistico, e non scandalistico, alle vicende di presunte molestie del quale il cantante è sempre stato accusato a partire dai primi anni ’90. Ed è proprio questa l’originalità del lavoro.

Il regista, Danny Wu, giovane videomaker cinese residente a Los Angeles, parte proprio dalle prime accuse del 1993 per mettere di fronte allo spettatore tutta una serie di comportamenti, dichiarazioni ed interviste che spiegano la logica estorsiva, e ripetuta negli anni, di questo tipo di accuse nei confronti dell’artista.

E’ il 1993 infatti, quando Michael viene accusato dal giovane Jordan Chandler di molestie sessuali. Jackson è in piena tournee “Dangerous” e, poco dopo il clamore mediatico suscitato da questa vicenda, deve interrompere i concerti e fuggire in Inghilterra per riuscire a ristabilirsi da una brutta dipendenza da tranquillanti. E’ Elizabeth Taylor che, prima di tutti, si accorge dell’aggravarsi della situazione e, con l’aiuto dell’amico Elton John, riesce a portare Jackson in una località segreta del Regno Unito per concedergli un po’ di riposo e una terapia ricostituente.

Dall’altro capo del mondo la stampa si scatena in una forsennata caccia all’uomo senza precedenti. Michael Jackson è il fuggitivo e la presunta vittima, allora 13enne, viene protetta da qualsiasi intromissione mediatica.

E’ il padre di Jordan Chanlder, Evan Chanlder, a tirare le fila di uno schema che permetterà di mettere in croce un artista fino ad allora conosciuto per il suo impegno a favore dei bambini più bisognosi, dedito a cause umanitarie e sempre in prima linea nel combattere le ingiustizie di una società troppo presa a soddisfare i bisogni degli adulti e che si dimentica la sua risorsa più preziosa, l’infanzia.

Danny Wu, con grande coraggio e determinazione, si prefigge l’obbiettivo di smontare questo tipo di accuse nei confronti del re del pop partendo forse dall’episodio più complicato e più discusso. Le accuse di Chandler nel documentario diventano la base di partenza per smontare il teorema iniziale e quindi arrivare a dimostrare come un’accusa mai dimostrata possa rappresentare, e di fatto abbia rappresentato, un trampolino di lancio verso le successive accuse del 2005.

L’idea alla base del documentario è semplice. Il regista approfondisce i principali aspetti della vicenda del 1993 per arrivare a concludere che non solo le prima accuse furono una farsa e un piano estorsivo nei confronti del re del pop, ma che, partendo da quelle, i successivi procedimenti avevano potuto seguirne le orme riproponendone lo schema dieci anni più tardi.

Il documentario parte ricordando gli avvenimenti salienti di tutta la vicenda: il 17 agosto 1993 il Dipartimento di Polizia di Los Angeles apre un procedimento nei confronti di Michael Jackson in base alla dichiarazioni di un ragazzino di 13 anni, Jordan Chandler. Il 25 gennaio 1994, il re del pop si accorda per un risarcimento civile di 15 milioni di dollari. Questo accordo, scriverà il New York Times il 26 gennaio, renderà vulnerabile il cantante ad altri procedimenti dello stesso genere. L’accordo prevedeva che le parti non potessero parlare della questione pubblicamente.

Dopo una breve introduzione, la storia si sposta ai giorni nostri ed è proprio il regista Danny Wu ad intervistare uno dei più famosi giornalisti investigativi americani, vincitore di sei National Awards per i suoi recenti scoop in tema di pedofilia, Charles Thomson.

Con lui si cerca di mettere in evidenza la particolarità del caso Chandler rispetto ai casi precedenti ai quali abbia potuto lavorare. E una delle prime interessanti argomentazioni risulta essere il fatto che tutti i procedimenti ai quali Thomson abbia lavorato fossero di natura penale e mai di natura civile.

In nessun caso, parlando di pedofilia, ci si era mai trovati di fronte a richieste di risarcimento in denaro. Ulteriore dettaglio, stando a quanto riportato da Chalers Thomson, ogni accusa formulata in passato aveva potuto contare su presunte vittime credibili, dalle dichiarazioni inconfutabili e circostanziate. Quello che non sembrava essere il caso delle accuse rivolte a Michael Jackson.

E’ lo stesso Thomson a suggerire che le accuse contro il re del pop non sarebbero mai state credibili, mai inconfutabili, anzi, spesso frutto di spergiuri e circondate da persone alla ricerca di un riscatto.

E’ proprio il file dedicato dall’FBI al cantante a sgomberare il campo da ogni dubbio. Un artista così famoso ed in vista meritava una particolare attenzione tanto da scomodare la Federal Bureau Investigations americana.

E Thomson ha potuto lavorare e studiare in modo intensivo tutti i documenti che riguardavano la superstar. Documenti che chiariscono in primis che come al Ranch di Neverland non sia mai stato trovato materiale pornografico che riguardasse minori. Una storia del genere era uscita al tempo delle perquisizioni della proprietà del cantante tanto che persino le autorità avevano dovuto diffondere un comunicato per smentire le voci a riguardo.

Quindi non solo i fan si sgoleranno per urlare l’innocenza del loro idolo, ma persino la difesa e l’accusa converranno nel dire che nessun materiale di tipo pornografico che coinvolgesse minori sarebbe mai stato rinvenuto nella residenza del cantante. Dai documenti dell’FBI si scopre che l’agenzia avrebbe tenuto sotto controllo a più riprese la popstar per oltre un decennio a partire dal 1992 fino al 2005 collaborando con gli inquirenti delle accuse del 1993 e 2005, questo senza mai trovare nulla che potesse essere sospetto. Il tutto impiegando oltre 20 differenti dipartimenti dell’agenzia.

L’aspetto forse maggiormente rilevante fu che nel procedimento del 2005, tutti i computer rivenuti a Neverland vennero sequestrati e scandagliati alla ricerca di indizi di colpevolezza. In nessuno dei pc analizzati venne mai trovato niente di compromettente o che potesse sostenere le accuse mosse al cantante incriminandolo. Di fatto i documenti dell’FBI, secondo Charles Thomson, non esonerebbero Michael Jackson, ma di certo non avrebbero potuto incriminarlo.

Ulteriore punto a favore avrebbe rappresentato uno studio indipendente condotto dall’emittente televisiva ABC che, consultando alcuni psichiatri e psicologi di fama nazionale, avrebbe concluso, così come altri luminari in giro per il mondo, come il comportamento di Michael Jackson poco avesse a che fare con il tipico profilo del pedofilo predatore di minorenni.

Ma anche all’interno dell’FBI qualcuno avrebbe volentieri incriminato Jackson al tempo. E’ il caso dell’agente Jim Clemente le cui dichiarazioni farneticanti vengono riportate all’interno del documentario. Secondo Celemente, Michael avrebbe deliberatamente denudato e comunque avuto un comportamento inappropriato verso uno dei propri nipoti durante il famoso photoshoot per la copertina del singolo di “Why” dei 3T.

Difficile anche da sentire una cosa del genere, ma Danny Wu da spazio a Taj Jackson, uno dei nipoti del re del pop, perchè venga fatta chiarezza su quelle dichiarazioni. Il loro album di debutto, che conteneva il singolo “Why” al quale Michael aveva partecipato, vendette circa 3 milioni di copie nel mondo. L’occasione si presentò mentre Michael stava girando il video di “Stranger In Moscow” e i nipoti arrivarono sul set per andarlo a trovare.

Essendo tutti presenti chiesero allo zio di fare il servizio fotografico che sarebbe servito per la copertina del singolo. Ed è quello che avvenne, senza tensioni, senza obblighi, senza niente di strano. E di fronte a decine di persone del cast, delle luci, del makeup.

Lo sconforto di Taj nel ricordare questi fatti nel documentario è qualcosa che fa male al cuore. E alla memoria di Michael. Che ci sia stato veramente qualcuno che, anche lontanamente, abbia potuto pensare che quella situazione fosse qualcosa di inappropriato, è veramente deprimente.

Ma sono molte le persone che il documentario di Danny Wu porta a dichiarare il loro supporto a Jackson. Dopo Alan Scanland, il “direttore” di Neverland, è la volta di uno dei tanti ospiti della residenza del cantante. Jenny Winings, invitata a neverland almeno otto volte insieme ad altre persone e invitata a fermarsi la notte dopo un giro panoramico di tutta la proprietà.

L’occasione per Wu è quella di sottolineare come Jackson si fidasse molto delle persone e di come sentisse il bisogno di condividere la sua fortuna con le personi comuni che in realtà avevano poco frequentato la sua vita da star. E’ la stessa Winings a riferie come Michael si fidasse troppo degli altri e di come, sfortunatamente, avesse concesso la sua fiducia più volte alle persone sbagliate.

Ma le testimonianze non si fermano. Quella successiva è di Caroline Fristedt, volata insieme alle amiche a Los Angeles per incontrarlo. Prima che il cantante partisse per Miami dette disposizioni alla sicurezza di riservare loro un “Royal Treatment” ospitandole a Neverland per tutto il tempo necessario. Una volta accompagnate all’interno della main house, tutto il personale del Ranch era schierato e aveva avuto istruzioni per esaudire i desideri delle ragazze alle quali era stata data completa libertà di movimento in ogni angolo della proprietà.

Nel frattempo arriviamo a conoscere anche un altro personaggio che si rivelerà importante nella storia raccontata dal documentario di Danny Wu, Josephine Zohny, al tempo 17enne di grandi speranze, combinazione fan di Michael Jackson, appassionata di stretegie musicali, diritti d’autore e studiosa degli argomenti relativi all’industria discografia e al suo management. Successivamente al 2001, ebbe l’occasione di incrociare il suo destino con il giovane Jordan Chandler.

A questo punto è il regista a fare il punto della situazione e a ricordare come il caso del 1993 non proseguì mai in tribunale. Evan Chandler e June Wong ebbero come loro primogenito Jordan Chandler, quello che poi diventò la prima presunta vittima dell’artista. Dopodichè June divorziò da Evan per risposarsi con David Schwartz.

Con l’aiuto di Charles Thomson, viene ricostruita la situazione del padre, Evan Chandler, nato a New York e presto trasferitosi a LoS Angeles per rincorrere la carriera di sceneggiatore per il cinema.

In un primo momento praticò l’attività di dentista che lasciò poco dopo ottenendo solo una piccola soddisfazione personale come scrittore per il cinema per il film “Robin Hood: Men in Tights” di Mel Brooks. Ma come si arrivò alle accuse del figlio Jordan?

Nel maggio 1992, mentre Michael era a Los Angeles con il suo team, la macchina del re del pop ebbe un problema sulla Wilshire Boulevard a Beverly Hills. Una donna di passaggio chiamò il noleggio auto più vicino, che, sfortuna vuole (si direbbe col senno di poi) era gestito da David Schwartz, il quale, conoscendo la passione del giovane Chandler per il re del pop, avvisò la moglie June.

Quando Michael Jackson arrivò all’autonoleggio, la madre June fece di tutto affinchè Jordan si avvicinasse all’artista. Da li iniziò la loro conoscenza, fatta di email insistenti fino ad arrivare ad uno scambio di numeri di telefono per poi arrivare a rimanere in contatto.

Da quel momento, madre, figlio e Jackson iniziarono a vedersi e la coppia ad essere invitata a Neverland. In tutto questo tempo, Evan Chandler, il padre di Jordan, era quello che si chiamerebbe un padre assente, indietro con gli alimenti da pagare alla moglie e con poca voglia di vedere il figlio. Fino a quando non si scopre che il proprio figlio frequenta Michael Jackson.

Evan Chandler e Michael si incontrano nel maggio del 1993.

Poco dopo June e Jordan sarebbero partiti con Michael per alcuni mesi in giro per il mondo seguendo il Dangerous World Tour. Qualcosa che Evan Chandler non avrebbe mai accettato e cosa che fece precipitare ulteriormente i rapporti tra lui e la ex moglie.

Iniziarono così le minacce alla famiglia, i discorsi senza senso e la paura di June, Dave e del giovane Jordan che Evan potesse fare qualcosa di sconsiderato. Per questo motivo le sue telefonate vennero registrate. E sono quelle nelle quali lo ricordiamo dire: “[…] Quell’uomo verrà umiliato come non mai, non venderà più un disco se non otterrò quello che voglio. verrà distrutto completamente […]

Michael, intuito il pericolo e consigliato dal suo team, aveva smesso di chiamarlo e di prendere le sue telefonate. Evan Chandler per tutta risposta aveva continuato le sue minacce arrivando a studiare un piano per vendicarsi del fatto che Jackson gli avesse, a suo dire, sottratto la famiglia. Ingaggiò uno degli avvocati più senza scrupoli che esistessero sulla piazza, Barry Rothman, che diventò il suo principale consigliere nella causa intentata poi contro il cantante.

A quel tempo, Geraldine Huges era la segretaria di Rothman e anche lei viene sentita dal regista Danny Wu in proposito alle prime accuse del 1993. Secondo i suoi racconti tuttò cominciava come una normale battaglia legale per ottenere la custodia legale di un figlio.

Dietro a questo interesse di Evan però, si nascondeva la voglia di passare del tempo con il figlio Jordan per convincerlo a fare dichiarazioni fasulle. Evan Chandler ottenne di poter tenere il figlio per una settimana e allo scadere della stessa non lo riconsegnò alla ex moglie. Anzi, fece di tutto per istruirlo, con l’aiuto del suo legale, affinchè facesse dichiarazioni compromettenti sull’amico superstar.

Durante il suo soggiorno con il padre, Jordan venne sedato con del sodio amytal, inizialmente per un intervento ai denti, una sostanza attraverso la quale diventa facile installare nella mente del paziente un ricordo o una sensazione di qualcosa in realtà mai avvennuto.

Da quegli episodi nascono le accuse a Michael di molestie nei confronti di Jordan.

A quel punto Evan Chandler, invece che andare dritto dalle forze dell’ordine, si rivolgerà ai suoi legali nel tentativo di avere un risarcimento di 20 milioni di dollari da parte del cantante chiedendo addirittura di non rendere pubbliche le accuse “estorte” al figlio.

La richiesta arriverà senza successo a Michael che, dispiaciuto per aver sottratto il giovane Jordan alla famiglia per alcune settimane offrirà a Evan di finanziare un paio di progetti cinematografici per poter ricongiungersi con il figlio e poter realizzare insieme il sogno di scrivere per il cinema.

Dall’altra parte, l’avvocato Rothman avrebbe rifiutato l’offerta ed il 16 agosto 1993 Evan Chandler avrebbe ottenuto un ordine di rientro forzato per il figlio. Rientro per il quale, in tribunale, neanche lontanamente si degnò di avvisare il giudice di un possibile reato di molestie. Di fatto una custodia che gli consentì di far passare Jordan dallo psicologo e manipolare le sue dichiarazioni future che divennero presto pubbliche.

E con loro, la frenesia dei media, alla ricerca di una qualunque dichiarazione che potesse andare in quella direzione. Un circo che purtroppo coinvolse pure la sorella LaToya, in quegli anni sfortunatamente sposata con Jack Gordon, marito particolarmente violento e legato ad ambienti mafiosi. Gordon arrivò a manipolarla in diverse occasioni costringendola a dichiarare ai media i suoi dubbi sul comportamento del fratello.

Ma l’incubo era appena iniziato. Il documentario fa un inciso sui problemi di pelle di Jackson, lupus e vitiligine per introdurre il barbaro esame al quale venne sottoposto nel 1993.

Conoscendo Michael, Jordan avrebbe potuto descrivere le parti intime del cantante genericamente come “macchiate” e ottenerne un vantaggio. Evan riuscì ad ottenere un ordine per costringere il cantante a sottoporsi a tutta una serie di fotografie imbarazzanti da parte degli inquirenti per poter veirificare eventuali concordanze. E nel caso non ci fossero state, si sarebbe data la colpa alla vitiligine, che muta molto rapidamente.

Le dichiarazioni raccolte dagli inquirenti non coincisero con le fotografie scattate dagli stessi e nessun mandato di arresto venne emesso nei confronti del cantante.

Intanto, sempre nell’agosto del 1993, l’avvocato Barry Rothman veniva denunciato per estorsione dal team legale del re del pop di fatto lasciano il proprio incarico per i Chandler. Venne sostituito da Gloria Allred che si mise subito in luce con una conferenza stampa sbraitando come la famiglia Chandler fosse pronta ad un processo penale, ma anche lei ebbe poca fortuna.

Barry Rothman, lavorando dietro le quinte, assoldò un altro avvocato senza scrupoli, Larry Feldman, con il compito di portare il tutto ad un giudizio civile e avere un risarcimento prima che potesse intervenire un “criminal” case, ed avere così la possibilità di far emergere anzitempo la tattica difensiva della superstar.

Il 25 gennaio 1994, proprio quando Jackson avrebbe dovuto essere sentito in tribunale, i legali di Jackson negoziarono un accordo con la famiglia Chandler, l’assicurazione si incaricò di pagare il dovuto e come conseguenza Michael avrebbe dovuto rinunciare alla sua denuncia per estorsione.

In pratica la storia veniva raccontata al rovescio. Jackson era stato vittima di un articolato tentativo di estorsione partito da accuse infondate, che si era concluso con una transazione finanziaria. Una transazione che lasciava comunque aperta la porta a qualunque procedimento penale.

Nonostante questo, il danno sembrò da subito ben maggiore di un procedimento penale. Si fecero strada tutta una serie di personaggi che, in un modo o nell’altro, avevano avuto a che fare con il re del pop, spesso come dipendenti del Ranch di Neverland, tutti pronti a vendere le loro dichiarazioni, mai troppo specifiche, sempre troppo evasive per insinuare nell’opinione pubblica dubbi che nella residenza del cantante avvenissero cose strane.

Uno dei principali protagonisti di questo macabro teatrino fu Victorio Gutierrez, un reporter freelance originario del Cile e dalla fine degli anni ottanta vicino ad ambienti pro-pedofilia. Gutierrez usò la storia di Jackson diventando referente per quei tabloids che volevano sentirsi dire qualcosa di scabroso e scrisse un libro dal titolo “Michael Jackson was my lover”.

Quello stesso libro venne poi usato come traccia per scriverne un altro sulla stessa falsa riga e che si proponeva stavolta di rivelare i retroscena delle accuse di Jordan Chandler a Michael Jackson senza intaccarne l’accordo di riservatezza.

Il libro “All That Glitters”, fu scritto da Raymond Chandler (basandosi sui racconti di Evan Chandler), lo zio di Jordan, nel 2004. Di fatto Victor Gutierrez avrebbe fatto di tutto per far credere al mondo che Michael fosse un pedofilo in quanto, nella sua mente, se una superstar avvesse fatto di questi atteggiamenti propaganda, forse un giorno la pedofilia sarebbe stata accettata dalla società.

Ma se il caso aveva dato ampio sfogo a personaggi di second’ordine, in realtà chiunque volesse guadagnare notorietà e qualche titolo di giornale avrebbe avuto, da questo momento in poi, possibilità di farsi conoscere.

E purtroppo di persone senza scrupoli ne avevamo conosciute anche in ambito giornalistico. E’ il caso di Diane Diamond, reporter d’assalto che, al caso Jackson, sembrava essersi affezionata in modo quasi morboso. Fino a volare a Toronto (Canada) dopo aver ricevuto una lettera di un ragazzo che sosteneva di essere stato molestato dal cantante.

In un primo tempo credibile, si scopri che dietro alle stravaganti confessioni del giovane c’era Rodney Allen, un pregiudicato in carcere per, guarda un po’, pedofilia. E, udite udite, in contatto da tempo con Victor Gutierrez.

Nel 1999 un blog su internet sulla cui paternità non si ha certezza, rivelava che Jordan Chandler non avesse mai subito molestie e che il tentativo di estorsione sarebbe partito da molto lontano, dalla connessione di Rodney, Victory Gutierrez e Evan Chandler. Erano le scuse di Rodney Allen a Michael. Scritti che però continuano ad essere sinistri ma senza alcun tipo di conferma ufficiale.

A fine 1996, Michael ottiene dal tribunale un risarcimento per le bugie diffuse da Victor Gutierrez riguardo alla sua relazione con alcuni minori. La cifra è di 2,7 milioni di dollari per diffamazione.

Nello stesso periodo Jackson sposa Lisa Marie Presley e partecipa alla trasmissione di Diane Sawyer per lanciare il suo nuovo disco HIStory. Durante l’intervista Jackson non parla specificatamente del caso Chandler ma precisa come nessuna fotografia scattata al suo corpo abbia mai rappresentato una prova.

Per Evan Chandler questo lede l’accordo di riservatezza e ritorna dagli avvocati chiedendo un risarcimento di 60 milioni di dollari e la possibilità di infrangere a sua volta il patto di riservatezza pubblicando un suo album dal titolo EVANstory. Dopo alcuni anni di tira e molla, nessun giudice abboccherà all’amo e Evan Chandler non avrà nulla di quello che chiedeva.

Il documentario prosegue tessendo un filo conduttore fino al 2003, anno in cui un’altro episodio arriva a turbare la quiete ritrovata dell’artista, la famosa intervista rilasciata al giornalista Martin Bashir, nella quale, invece che far vedere il vero Michael, ancora una volta, il re del pop viene presentato in modo alquanto sinistro. “Living With Michael Jackson” arrivava nelle casi degli americani e di tutti i fan sparsi nel mondo.

Portandosi dietro nuove accuse.

Ma anche una rivelazione importante. Vi ricordate di Josephine Zohny, la ragazza allora 17enne e che, studiando music business era entrata in contatto con Jordan Chandler?

Attraverso di lei veniamo a sapere che, subito dopo la messa in onda del documentario “Living With Michael Jackson”, in una normale discussione di classe riguardo alla possibilità che Jackson fosse o meno un pedofilo, proprio Jordan Chandler, senza essere imboccato da nessuno e partecipando al dibattimento, avrebbe detto che anche secondo lui Michael Jackson non sarebbe mai stato capace dei comportamenti dei quali lo si accusava.

Stiamo parlando dello stesso Jordan Chandler che nel 1993 aveva ottenuto un risarcimento proprio per quella infamante accusa. In discussioni private successive, lo stesso Jordan avrebbe più volte manifestato a Josephine di essere stato manipolato dai propri genitori per ottenere soldi. Tutte affermazioni che avvennero prima che Gavin Arvizo facesse le sue accuse.

Come ci ricorda il documentario, a seguito dell’accordo del 1994 del caso Chandler, le leggi della California oggi proibiscono che un procedimento civile possa venir prima di un procedimento penale. In quel frangente Michael si era trovato contro anche la legge. Non sarebbe più successo per nessun altro.

Quando, nel 2003, Gavin Arvizo chiese a Michael di dormire nella sua stanza ospite a Neverland, il cantante disse di chiedere alla madre, poi intervenne Frank Cascio che non permise la cosa ritenendola inopportuna.

Solo allora Jackson acconsensì ad una condizione. Che i due fratelli dormissero nella sua stanza sul letto, lui e Frank Cascio avrebbero dormito sul pavimento.

Nel 2003, la famiglia Arvizo avvicinò lo stesso avvocato Larry Feldman per aprire un procedimento civile contro Jackson. Stavolta, una causa penale avrebbe avuto la precedenza.

Il 18 novembre 2003, in base alle dichiarazioni di Gavin Arvizo, un mandato di arresto venne emanato nei confronti di Michael Jackson.

Durante tutto il procedimento, la famiglia Arvizo cambiò più volte le proprie deposizioni cadendo spesso in contraddizioni. Notando la fragilità del caso, l’accusa tentò di riportare in auge le vecchie accuse del 1993 per dimostrare un filo conduttore nella condotta di un presunto pedofilo. Fece di tutto per tentare di ritrovare Jordan Chandler e portarlo di fronte ad una giuria ma senza successo.

Michael venne dichiarato innocente il 13 Giugno 2005. Mori prematuramente il 25 giugno 2009.

Nel 2013 Wade Robson ha aperto una causa con l’Estate del cantante sostenendo di essere stato molestato in gioventù e chiedendo un risarcimento, qualche tempo dopo James Safechuck si è unito a lui con la stessa accusa e sempre in cerca di soldi.

Nel 2017 il caso è stato archiviato e nel 2019 i due stanno ancora facendo appello. Nel frattempo hanno preferito la strada della tv, dando in pasto ai media il documentario “Leaving Neverland”.

E’ il triste epilogo di questa storia che ci mette sotto gli occhi tutto il percorso fatto dagli accusatori di Michael Jackson negli anni. Attraverso il preciso e puntuale lavoro di Danny Wu è possibile scoprire tutta una serie di indizi ed informazioni che uniscono i comportamenti di quanti hanno tentato di estorcere denaro al povero Michael, una pratica che ancora oggi, sembra non essere passata di moda.

Un documentario ben fatto, completo e da vedere, per rendersi conto di quello che possa aver passato, fin dagli anni novanta, il nostro artista preferito. Un lungometraggio che andrebbe diffuso in televisione e che tutti meriterebbero di conoscere. Non solo noi fan.

Ma forse questo è chiedere troppo.

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